mercoledì 23 febbraio 2011

Sarah, arrestati fratello e nipote di Misseri

MILANO - Nuovo colpo di scena nelle indagini sul delitto di Avetrana. I carabinieri di Taranto hanno arrestato Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello e nipote di Michele Misseri, l'agricoltore che ha confessato il delitto di Sarah Scazzi chiamando in correità la figlia Sabrina. Gli arrestati sono accusati di concorso in soppressione di cadavere. Secondo gli inquirenti, in sostanza, i due familiari dello zio Michele lo aiutarono, il 26 agosto, a trasportare il corpo senza vita di Sarah dal garage della sua abitazione fino al pozzo in contrada Mosca. A far ritrovare il cadavere fu proprio lo zio Michele, nella sua prima confessione del 6 ottobre 2010.
INTERROGATE LE MOGLI - La misura della custodia cautelare in carcere è stata adottata per esigenze probatorie e ha una durata di 30 giorni. Al fratello e al nipote di Misseri il gip Rosati ha imposto nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere anche il divieto di parlare con i propri legali sino all'interrogatorio di garanzia. Nella caserma dei carabinieri di Manduria sono arrivate in mattinata le mogli dei due arrestati. Gli inquirenti le stanno interrogando con l'obiettivo di passare ancora una volta al setaccio i movimenti e le telefonate dei loro mariti il giorno in cui la 15enne scomparve e fu uccisa.
LE TELEFONATE - Per gli inquirenti, la prova del tentativo di Michele Misseri di coprire i due parenti che lo avrebbero aiutato nel sopprimere il cadavere di Sarah sarebbe nelle telefonate dell'uomo al fratello Carmine e al nipote, detto «Mimino » contenute nei verbali degli interrogatori. Le due telefonate sono proprio del 26 agosto 2010, giorno dell'uccisione della quindicenne. Alle 15.08, poco dopo l'omicidio di Sarah, Michele Misseri telefonò al fratello Carmine, ma su che cosa si siano detti quel giorno i due hanno riferito cose molto diverse. «Mi ha detto che Sarah non si trovava», ha raccontato Carmine in una deposizione, riferendosi a quella telefonata. Michele invece ha sempre detto di non ricordare quella frase e di aver riferito al fratello che, se lo avesse cercato la moglie, avrebbe dovuto rispondere che era andato in campagna perché «erano scappati i cavalli», motivando questo col fatto che aveva litigato con la consorte. Ma Michele non aveva litigato con la moglie e nessun cavallo era fuggito dalla proprietà di famiglia. La telefonata di Michele Misseri al nipote è delle 18.28 del 26 agosto, peraltro chiamando sull'utenza della moglie di «Mimino». «Per caso da sopra la Riforma (una zona di Avetrana, ndr) è passata qualche macchina sospetta che c'era Sarah dentro?» avrebbe chiesto Michele al nipote, secondo il racconto dell'agricoltore. «No, di qua non è passato nessuno» sarebbe stata la risposta. Ma se il nipote, ragionano gli inquirenti, davvero non fosse stato al corrente della scomparsa di Sarah, perché parlare di una presunta auto sospetta con a bordo la quindicenne? In quel momento, Sarah era morta da più di quattro ore e il cadavere era stato già nascosto nel pozzo di contrada Mosca.
L'INTERCETTAZIONE - Il fratello e il nipote di Michele Misseri poi preparavano «a tavolino» le risposte da fornire agli inquirenti e agli investigatori durante gli interrogatori su come avevano passato il pomeriggio del 26 agosto. Questo emerge da una intercettazione ambientale nella quale i due, parlando tra di loro, si scrivevano e si suggerivano le risposte che poi avrebbero dato agli inquirenti. È questa una delle esigenze cautelari che ha spinto il gip Martino Rosati a vergare le ordinanze di custodia cautelare in carcere, per 30 giorni, nei confronti di Carmine Misseri e del nipote Cosimo Cosma. A rivelarlo è stato il procuratore capo della Procura della Repubblica di Taranto Franco Sebastio durante la conferenza stampa presso la caserma dei carabinieri Ugo De Carolis di Taranto.
«UN ATTORE» - «Non ho fatto niente. Posso camminare a testa alta. Michele è un attore» ha detto Carmine Misseri, in un'intervista a «Chi l'ha visto?» realizzata poche ore prima dell'arresto. Nell'intervista, che sarà trasmessa integralmente stasera nel corso della trasmissione alle 21.05 su Rai3, Carmine Misseri dice di non aver aiutato il fratello ad occultare il cadavere di Sara. Poi si scaglia contro Michele: «Perché‚ non ha parlato prima? Sara è una bambina, non è un cane, una busta di immondizia che la prendi e la vai a buttare. La colpa ce l'ha lui...».
IL TESTIMONE - Nell'inchiesta spunta anche un testimone. Avrebbe visto Cosimo Cosma, il nipote di Michele Misseri arrestato, in atteggiamento sospetto in compagnia dello zio vicino al garage di via Deledda ad Avetrana, probabile luogo del delitto, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Sarah. Questa circostanza, emersa durante indagini difensive, potrebbe uno degli elementi ad aver portato all'arresto di Cosma. In pratica, il testimone li avrebbe visti confabulare più volte e poi allontanarsi o abbassare la voce nel momento in cui si accorgevano di essere stati notati.

Milleproroghe, Berlusconi attacca «I decreti? Il governo non ha potere»

MILANO - «Di decreti non ne parliamo più. I decreti devono avere un consenso totale. Non è più nella nostra disponibilità perché ci vuole la firma del capo dello Stato». Silvio Berlusconi non lo cita esplicitamente, ma è evidente il riferimento al decreto Milleproroghe e ai dubbi di costituzionalità sul provvedimentoespressi da Giorgio Napolitano. Intervenendo agli Stati generali di Roma Capitale, il premier è tornato a lamentare il fatto che con l'assetto costituzionale previsto dall'attuale Carta «al governo rimane solo il nome e l'immagine del potere». Una situazione, ha spiegato, che rende impossibili le riforme, perché i provvedimenti del governo debbono passare alla firma del capo dello Stato e poi vengono profondamente modificati dal Parlamento e così un testo varato dal Consiglio dei ministri da «focoso destriero purosangue» si trasforma in «ippopotamo».
TREMONTI AL LAVORO - Sul decreto Milleproroghe il governo è comunque tornato al lavoro. In mattinata il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, è stato ricevuto al Quirinale per un colloquio con il presidente della Repubblica. Dopo, il titolare del Tesoro ha incontrato a Montecitorio i capigruppo della maggioranza. All'incontro, finalizzato a mettere a punto il percorso parlamentare del decreto, oltre al ministro Elio Vito e al sottosegretario Gianni Letta, hanno preso parte anche il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Una volta in Aula, il ministro Tremonti ha detto che l'esecutivo è disponibile a modificare il testo del provvedimento. Se ci sarà o meno la fiducia sul decreto dipenderà, ha spiegato il titolare del Tesoro, «dalla discussione con l'opposizione». Tra le modifiche su cui aprire una discussione, secondo il ministro, ci sono le norme sui precari della scuola, la normativa sul personale Consob, le disposizioni sugli immobili acquisiti a seguito di esproprio per Roma e le norme che aumentano il numero di assessori. Stop anche alle disposizioni sugli incroci tra Tv e giornali, il blocco delle demolizioni delle abitazioni abusive campane, le concessioni relative ai contratti nella zona dell'Etna.
CDM STRAORDINARIO - Umberto Bossi ha annunciato che del Milleproroghe si parlerà nel pomeriggio nel corso di un Consiglio dei ministri straordinario. «Vedremo lì - ha spiegato - il Cdm è stato convocato credo anche per parlare di scadenze di leggi regionali», non di riforma della giustizia. Una successiva nota di Palazzo Chigi ha spiegato però che il Consiglio dei ministri è convocato alle 15 solo per l'esame di alcune Leggi regionali in scadenza.
IL PD E FINI - A Montecitorio, il Pd, con Roberto Giachetti, aveva chiesto a inizio seduta la sospensione dei lavori in attesa dell'intervento del governo: «Non capisco che prosieguo facciamo se non abbiamo una parola in più rispetto a ieri - ha detto rivolto al presidente della Camera, Gianfranco Fini - Noi riprendiamo da dove abbiamo iniziato ieri. Non abbiamo alcuna novità su quanto abbia deciso il governo». Ma Fini ha respinto la richiesta: «Il governo, come anche lei sa, si accinge a comunicare i propri orientamenti alla Camera - ha risposto Fini - Certamente questo accadrà non appena il governo sarà nella capacità di farlo».

L'altro Made in Italy: dentro le aziende che producono i falsi modelli della moda


NAPOLI - C’è un made in Italy che sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione, associazione di categoria, import/export. Si tratta dei modelli più ricercati e rinomati della moda italiana (e non solo) venduti nei negozi nostrani ma di cui non si conosce la provenienza. E’ un mercato parallelo, quello del falso, che si sviluppa nelle cantine, nei sottoscala, nei retrobottega di anonime abitazioni dell’hinterland napoletano. Palazzine di due o tre piani che nascondono nei sotterranei un polmone produttivo totalmente clandestino.
E’ qui che si alimenta l’alta moda (falsa) a costi stracciati: quattordici euro per un completo da donna che verrà rivenduto cinquanta volte tanto; sette euro per una confezione da uomo che in boutique costerà dai settanta euro in su. Per capire meglio come funziona tutto il sistema ci siamo finti interessati a confezionare dei falsi modelli di alcune delle case di moda più conosciute, ovviamente tutto in nero.

Il nostro, è stato un vero e proprio viaggio nelle fabbriche del «made in Italy fantasma» dove in gran parte lavorano donne italiane per una paga che si aggira intorno ai 15 euro al giorno. Nessun sindacato, nessuno sciopero, nessun diritto. Nessuno osa lamentarsi perché qui, in terra di Gomorra, la macchina da cucire è una delle poche occasioni di lavoro per le donne. E va difesa a denti stretti. La concorrenza da battere è quella cinese e pachistana che produce alla metà del prezzo e ormai rappresenta una casta impenetrabile. Kabir, pachistano, venuto in Italia 13 anni fa come apprendista sarto, oggi è il padrone di una di queste fabbriche abusive e ci dice chiaramente: «Qui italiani a lavorare non ne voglio». Così, quando gli proponiamo di assumere un nostro parente che ha perso il lavoro da poco, ci mette alla porta e torna dentro ad alimentare il suo made in Italy. Rigorosamente falso.

Berlusconi: «No a violenze, ma attenti al dopo». Frattini: «Stop al bagno di sangue, il nostro Paese sia unito»

MILANO - Silvio Berlusconi interviene sulla crisi in Libia e mette in guardia dal rischio «fondamentalismo».«Prendiamo atto con grande piacere che il vento della democrazia è soffiato in quei Paesi» ha detto il premier intervenendo agli Stati generali di Roma Capitale. «Tanti giovani - ha aggiunto - vogliono entrare nella modernità e armati del loro coraggio e di internet hanno dato via ai sommovimenti. Facciamo attenzione che non ci siano violenze ingiustificate e derive che recepiscano il fondamentalismo islamico». Il presidente del Consiglio ha spiegato di essere rimasto in contatto fino a mercoledì mattina con gli altri leader europei e americani proprio in relazione ai fatti di Tripoli. «Non vorremmo evolvesse - ha detto Berlusconi - in una situazione pericolosa verso la deriva del fondamentalismo islamico». Il premier ha quindi ribadito il suo «no alle violenze» specificando però che «bisogna anche essere accorti su quello che succederà dopo con paesi con cui abbiamo trattato - ha spiegato - e a cui guardiamo per mille motivi e anche perchè sono importanti fornitori di energia».
Franco Frattini alla Camera (LaPresse)
Franco Frattini alla Camera (LaPresse)
FRATTINI - Alla Camera Franco Frattini ha fatto il punto sul bilancio delle proteste anti-Gheddafi. Sono «più di mille le persone innocenti morte in Libia» nelle manifestazioni di questi giorni ha spiegato, giudicando «verosimili» le stime fornite fin qui dai media arabi. Il governo italiano, ha ribadito il ministro, chiede che cessi «l'orribile spargimento di sangue» che «la leadership Gheddafi ha annunciato e sta continuando a fare». Sulla situazione a Tripoli il titolare della Farnesina ha riferito alla Camera. Chiarendo prima di ogni altra cosa che sui rapporti Italia-Libia, il nostro Paese ha fatto in passato «quel che doveva fare» e fa oggi «quello che deve fare». «C'è un limite e di fronte a quello che sta accadendo non possiamo non levare la nostra voce» ha sottolineato Frattini, ricordando che la politica estera italiana verso «un Paese che occupa una posizione strategica nel Mediterraneo ha seguito una linea di continuità dagli inizi degli anni '90, con i governi Dini, D'Alema, Prodi e Berlusconi».
«NECESSARIO RESTARE UNITI» - La situazione in Libia è «gravissima» e a renderla ancora più preoccupante sono i propositi espressi a Gheddafi in cui «la volontà di colpire il suo stesso popolo, determina una situazione di guerra civile tra aree e province in cui ci sono gruppi che si combattono con bande e squadroni della morte che compiono raid, oltre a tutto questo, il tragico bilancio sarà un bagno di sangue. È una analisi - ha spiegato il titolare della Farnesina alla Camera - che ho condiviso con molti governo europei e non europei». Dinanzi a questo quadro, il ministro ha invocato l'unità del Paese. «È necessaria», ha detto, avanzando la proposta di «una consultazione permanente di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, che si renderanno disponibili». «Sta a voi deputati decidere le modalità» di questa consultazione con il Parlamento, ha aggiunto il titolare della Farnesina.
REAZIONI - Il Pd giudica tardiva la condanna delle violenze da parte dell'Italia. «Il nostro impegno - ha detto Alessandro Maran - non è in discussione ma sarebbe ora di accantonare la politica del "cucù", di Berlusconi». Apre alla proposta di una gestione bipartisan dell'emergenza anche il leader Udc Pier Ferdinando Casini. «Accetto questa impostazione che lei ha dato» ha detto il numero uno dei centristi rispondendo a Frattini. Casini, però, ha anche rivendicato di aver avuto una linea diversa da quella della maggioranza sul rapporto con la Libia: «Rivendico che noi, insieme a Idv e radicali, abbiamo votato contro un trattato che era eccessivamente condiscendente verso il regime Gheddafi». A tal proposito, Edmondo Cirielli (Pdl), presidente della Commissione Difesa, ha invitato Frattini, a denunciare, «come primo atto coerente e conseguente alla sua relazione», il Trattato di Amicizia Italia-Libia.
«RISCHIO ISLAMISMO RADICALE» - Sulle accuse di Gheddafi al nostro Paese di aver fornito razzi ai manifestanti, Frattini non ha usato mezzi termini, accusando il Colonnello di «retorica anti-italiana». A preoccupare il titolare della Farnesina è poi la nascita in Cirenaica «di un emirato islamico della Libia dell'est». «È collocato - ha detto Frattini - a poche centinaia di chilometri dall'Ue ma niente può giustificare l'uccisione violenta di centinaia di civili innocenti. A questo ha reagito unanimemente dopo una seria approfondita riflessione l'Unione Europea, la comunità internazionale».
LA TELEFONATA BERLUSCONI-GHEDDAFI - Nel suo intervento in Aula, il ministro degli Esteri è anche tornato sulla telefonata di martedì tra Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi: il premier, ha spiegato, ha chiesto al leader libico la «sospensione immediata delle violenze», ma «la risposta è stata la ripetizione dell'analisi già pubblicamente enunciata in tv». Un capitolo a parte Frattini lo ha dedicato ai connazionali e alle aziende italiane presenti in Libia, oltre che alla questione della fornitura di gas. Il titolare della Farnesina non ha nascosto le preoccupazioni sue e del governo per le ricadute negative che la crisi in Libia avrà nel settore infrastrutture: vi sono imprese italiane impegnate nel Paese e interessate in accordi per 4 miliardi di euro, ha specificato. Quanto alla'interruzione della fornitura di gas dalla Libia, «è una conseguenza che l'Italia può sostenere», grazie alle forniture da Algeria, Azerbaijan, Russia e Paesi del Golfo. Il ministro ha poi annunciato che sono stati già rimpatriati dalla Libia 400 italiani e che mercoledì un aereo dell'aeronautica militare si recherà nel Paese nordafricano con «squadre di pronto intervento» per contribuire alle operazioni di rimpatrio degli altri connazionali. sul territorio europeo, ma di un meccanismo serio di ripartizione degli oneri economici, sociali e anche umani del flusso migratorio che uno o più Paesi membri, in particolare del Mediterraneo, potrebbero subire»

Ruby nipote? Mubarak non capì Il Cavaliere: mi informo meglio

MILANO - Tutta colpa della «confusione tra le due Ruby» d'Egitto, allorché Silvio Berlusconi accennò alla «sua» Ruby nel pranzo ufficiale del 19 maggio 2010 a Villa Madama con il presidente egiziano Hosni Mubarak e le rispettive delegazioni: la «confusione» tra la Ruby giusta, che aveva 17 anni ed era la minorenne marocchina ospitata nelle notti di Arcore da un Berlusconi 66 volte al telefono con lei in due mesi e mezzo, e la Ruby invece sbagliata, cioè una cantante molto famosa in Egitto con lo stesso nome d'arte (la 29enne Rania Hussein Mohammed Tawfik). «Allora ci informeremo meglio», ripiegò Berlusconi a uno stupito Mubarak, sotto gli occhi del ministro degli Esteri Franco Frattini.

Ed era solo una settimana prima che il premier prospettasse anche alla Questura di Milano la storia di Ruby possibile parente del presidente egiziano la notte del 27 maggio 2010: notte in cui dunque il premier, ove mai l'avesse prima davvero pensato quando la giovane (stando alle indagini difensive) gli aveva detto di essere figlia di una cantante egiziana e nipote di Mubarak, già possedeva sufficienti elementi per dubitare fortemente che Ruby (peraltro marocchina) lo fosse davvero. Ora su questa «confusione» rischia di incrinarsi l'alibi psicologico in base al quale 315 deputati il 4 febbraio hanno accreditato l'idea che il 27 maggio «il premier avesse voluto tutelare il prestigio e le relazioni internazionali dell'Italia, giacché presso la medesima Questura era detenuta, a quanto poteva legittimamente risultargli, la nipote di un capo di Stato estero».

In realtà, l'unica parola che tutti i commensali di quel pranzo ufficiale del 19 maggio 2010 ricordano nitidamente a proposito dello scambio di battute su Ruby è «confusione». Un po' perché Berlusconi buttò lì a fine pranzo a Mubarak la frase su una sua conoscente molto bella e in qualche modo parente (benché stranamente con genitori in Sicilia) del presidente egiziano deposto in questi giorni dal suo popolo. E un po', soprattutto, perché tutti i presenti (a cominciare da Gianfranco Galan) concordano sulla sensazione che la delegazione egiziana guidata da Mubarak prima non capì bene a cosa si stesse riferendo il premier italiano, e poi (è l'impressione dello stesso Frattini) pensò che parlasse della Ruby cantante. Scambio di persona che anche all'interprete Mohamed Reda Hammad apparve certo. Sicché, quando Mubarak non comprese l'accenno alla parentela, Berlusconi, stando al netto ricordo di Frattini, pronunciò appunto la frase: «Allora ci informeremo meglio».