lunedì 21 febbraio 2011

Terrore a Malpensa, spari tra la folla

MILANO - Attimi di terrore in mattinata all'aeroporto internazionale di Malpensa, dove, poco dopo le 11.30, un'auto ha improvvisamente sfondato una vetrata dell'area check-in del Terminal 1. Subito dopo c'è stato un conflitto a fuoco con la polizia, al termine del quale il conducente del Suv è stato arrestato. Il terminal 1 è stato evacuato, le partenze temporaneamente sospese. Dopo un'ora circa la situazione è tornata alla normalità: l’area dei check in è stata riaperta e i passeggeri, in precedenza bloccati, hanno ripreso le operazioni in vista della partenza. Gli aerei, che erano rimasti vuoti, sono tornati a riempirsi; sono tuttavia possibili ulteriori ritardi sui voli nel corso della giornata.
L'allarme a Malpensa
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LA VETRATA SFONDATA - Il conducente, Ben Abdel Ganouni Sadallah, un tunisino di 48 anni regolare in Italia, con piccoli precedenti per aggressioni ai vicini di casa, ha sfondato la porta a vetri numero 14 del Terminal 1 con l'auto - poi risultata rubata -, che si è bloccata contro alcuni «panettoni» di cemento. L'uomo è sceso armato di un coltello lungo circa 20 centimetri e ha inseguito prima un dipendente di Sea e poi un carabiniere. Pronunciando frasi sconnesse in arabo, ha lanciato il coltello verso gli agenti che cercavano di fermarlo. Un sovrintendente della Polaria, nel pieno rispetto della procedura, ha sparato verso il folle: l'uomo è caduto ed è stato bloccato e portato all'ospedale di Gallarate dove, piantonato dalla polizia, è stato sottoposto ad una medicazione per una lieve ferita al piede e dimesso con una prognosi di 15 giorni. E' stato arrestato per danneggiamento pluriaggravato, resistenza a pubblico ufficiale e tentato omicidio; sarà portato nel carcere di Busto Arsizio. Il presidente della società di gestione aeroportuale Sea Giuseppe Bonomi ha escluso qualsiasi legame con il terrorismo: «Escludiamo completamente la matrice terroristica, si tratta del gesto di uno squilibrato», ha detto, rispondendo ai cronisti accorsi dopo la sparatoria. Il tunisino avrebbe agito in preda a un raptus. Si tratta di un «soggetto particolare», ha riferito il questore di Varese.
La ricostruzione
Rcd-YouReporter
LA FAMIGLIA IN AUTO - Sul Suv, una Hyundai Tucson rubata in mattinata a Rescaldina nel Milanese, c'erano anche la moglie dell'uomo, un'italiana convertita all'Islam, e i tre figli piccoli della coppia, due maschi e una femmina. La famiglia risiede a Ceriano Laghetto, in provincia di Monza. Secondo il pm Roberto Pirro la famiglia aveva l’intenzione di andare in Tunisia ma, ha precisato, non risulta al momento che fossero già in possesso di biglietti aerei e tantomeno dei documenti di viaggio. Fra i coniugi sarebbe scoppiato un furioso litigio: la rabbia avrebbe portato il tunisino a perdere il controllo dell'auto. Dopo aver sfondato la vetrata, l'uomo sarebbe uscito dall'auto impugnando un coltello e provocando la reazione degli agenti. Secondo quanto è stato reso noto in una conferenza stampa al Terminal 1, sia l'uomo che la donna quando sono stati bloccati hanno pronunciato frasi sconnesse, in arabo e in italiano. Tutti e cinque sarebbero poi stati portati in ospedale. Sul posto, oltre alla Polaria, è intervenuto anche il dirigente della Squadra mobile insieme a diversi suoi colleghi. Nella Questura di Varese si è tenuto un vertice tra gli investigatori per fare il punto sulla situazione.
Il coltello impugnato dal tunisino (Infophoto)
Il coltello impugnato dal tunisino (Infophoto)
IL PANICO - «L'uomo è sceso dalla macchina e mi ha puntato contro un coltello lungo diversi centimetri. Io sono scappato e ho cercato di nascondermi», racconta Domenico Buonpane, dipendente di una boutique presente nello scalo. «Ho visto la macchina che si schiantava contro la porta a vetri e rimaneva incastrata - continua il testimone - e l'uomo è uscito e mi ha puntato contro il coltello. Io sono scappato e lui ha iniziato a seguirmi, ma non appena visto un carabiniere si è scagliato contro di lui armato. Gli hanno sparato e attorno a lui si sono radunati la moglie e i bambini, e si sono gettati a terra», ha aggiunto. «Ho avuto molta paura, anche perché attorno a me si era creato il panico, con decine di persone che urlavano e correvano da tutte le parti». Molti viaggiatori sono fuggiti abbandonando sul posto i bagagli, nel terrore di un attentato.
RITARDO VOLI IN PARTENZA - Gli artificieri sono intervenuti per verificare quanto contenuto all'interno dell'auto che ha sfondato la vetrata: il controllo ha dati esito negativo. La situazione di caos ha riguardato soprattutto i voli in partenza, sospesi per un paio d'ore. Sono sempre rimasti regolari i voli in arrivo; al Terminal 2 partenze e arrivi regolari. All'interno del Terminal 1 sono stati chiusi per un'ora circa ascensori, scale e scale mobili che collegano un'area all'altra. I passeggeri in partenza si sono accalcati in cerca di informazioni. Grande preoccupazione, nello scalo, ma non una particolare tensione. Alle 12.50 è stata riaperta l'area check-in, escluse le zone 6 e 7.
Passeggeri bloccati
YouReporter
«FALLA NELLA SICUREZZA» - Il capogruppo del Pd in commissione Trasporti alla Camera Michele Meta parla di «gravissime falle nella sicurezza dell'aeroporto internazionale, obiettivo sensibile come pochi altri nel Paese», e chiede al ministro Maroni «di spiegare quanto prima in Parlamento cosa sia accaduto e soprattutto come sia stato possibile per un cittadino comune vulnerare così facilmente con la propria automobile il check in del terminal 1 di Malpensa».
Immediata la replica di Bonomi: «Il sistema di sicurezza - ha detto - ha retto in maniera straordinaria e c'è stato un intervento immediato della polizia».

Tripoli brucia tra saccheggi e scontri Dimissioni del ministro della giustizia

MILANO - In Libia è caos totale. Il ministro della giustizia, Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, ha dato le dimissioni. E fonti libiche hanno fatto sapere ad Al Jazeera che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro Gheddafi per mettere fine ai disordini.
POLIZIA IN FUGA - Le stesse milizie sarebbero nel caos. Polizia e forze di sicurezza sono fuggite in massa da al-Zawiya, località della Libia occidentale situata qualche decina di chilometri a ovest di Tripoli, lungo l'arteria che conduce alla frontiera con la Tunisia: lo hanno riferito testimoni oculari arrivati nella città di confine tunisina di Ben Guerdane. Da allora, hanno raccontato, la città è completamente piombata nel caos: «Per due giorni ci sono stati scontri tra pro e anti Gheddafi e ieri la polizia ha lasciato la città. Da ieri tutti i negozi sono chiusi, una casa di Gheddafi è stata data alle fiamme, la gente ha anche rubato auto della polizia», è il racconto dei testimoni oculari. «Ci sono cecchini, ci sono case incendiate, non c'è polizia, se n'è andata ieri mattina. Nel centro della città ci sono manifestazioni pro Gheddafi».
Fiamme a Tripoli
ULEMA -In una Libia che brucia tra caos e sangue, il rais è abbandonato anche dai religiosi islamici: la Rete dei liberi ulema ha detto che la rivolta contro il regime è dovere divino di ciascuno. Violenti scontri sarebbero in atto tra i fedelissimi gheddafiani delle Guardie dei Comitati rivoluzionari e i militari golpisti. In questi scontri sarebbe rimasto gravemente ferito il comandante delle forze speciali, Abdalla El Senoussi, che secondo alcune voci sarebbe morto. Da Tripoli intanto giungono notizie di palazzi governativi e Parlamento in fiamme, saccheggi di banche e negozi anche da parte delle forze dell'ordine mentre l'esercito si sarebbe unito ai dimostranti. Si susseguono le voci non confermate sul destino di Muhammar Gheddafi: tra chi lo dà in fuga e chi nell'opposizione assicura che si trovi ancora in Libia. Secondo fonti ospedaliere citate dalla televisione, ci sarebbero già 61 morti nella capitale nelle prime ore di lunedì. Mentre secondo la Federazione internazionale per i diritti umani, Fidh, i morti dall'inizio delle contestazioni contro Gheddafi sarebbero tra i 300 e i 400 «per una cifra più vicina ai 400 che ai 300». Un'altra ong, Human Rights Watch,aveva calcolato in mattinata un bilancio di 233 morti.
DIMISSIONI - Il ministro della giustizia Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil si sarebbe dimesso proprio a causa del «ricorso eccessivo alla violenza contro i manifestanti antigovernativi», lo riporta il giornale privato Quryna che sul proprio sito, riferisce di una telefonata col ministro. Al momento non c'è conferma ufficiale alle dimissioni.
Incendiati i palazzi governativi
FIAMME - Testimoni riferiscono che sono stati incendiati sia il Parlamento che la sede del governo. Secondo il sito informativo libico al-Manara, bande armate stanno circolando per il quartiere di al-Azizia, dove si trova la sede della tv pubblica e diversi palazzi istituzionali, oltre alla residenza di Gheddafi. Gruppi armati hanno anche attaccato la caserma di al-Baraim, a una decina di chilometri dal centro di Tripoli. Secondo testimoni cecchini appostati sui tetti hanno aperto il fuoco contro i manifestanti che tentavano di avanzare verso il centro di Tripoli. Altri testimoni parlano di spari con arma da fuoco da auto in corsa. Secondo Al-Arabiya l'esercito avrebbe rifiutato di dispiegarsi nella città di Bani Walid. Tarhouna, in Tripolitania, sarebbe in mano ai manifestanti, così come Bengasi, Beida, Sirte (ma qui le fonti sono discordi), Zaouia e Gialo, nel deserto nei pressi dell'oasi di Cufra.
EVACUAZIONE - La situazione è grave, tanto che l'Ue sta considerando di evacuare i cittadini europei, in particolare da Bengasi, ma un aereo della Turkish Airlines inviato da Ankara per riportare in patria i cittadini turchi non è potuto atterrare nella città ed è dovuto tornare indietro. Portogallo e Austria hanno inviato aerei per evacuare i propri cittadini e altri dell'Ue. Gli italiani che vivono «stabilmente» in Libia sono 1.500 e la Farnesina e l'ambasciata «stanno consigliando di partire» con voli commerciali. Lo riferiscono a Bruxelles fonti della Farnesina, precisando che «al momento l'Italia non prevede un piano di evacuazione». Finmeccanica ha già iniziato l'evacuazione dei propri dipendenti (meno di dieci). Eni, Shell e Bp hanno iniziato il rimpatrio dei dipendenti non operativi e dei famigliari. «Eni non ravvisa alcun problema agli impianti e alle strutture operative», dice una nota del gruppo energetico. «Le attività proseguono nella norma senza conseguenze sulla produzione» pur se «si sta provvedendo a rafforzare ulteriormente le misure di sicurezza a tutela di persone e impianti». Alitalia ha annunciato che il volo della mattina per Tripoli è partito come previsto da Roma e ritornerà nel pomeriggio. Per quanto riguarda il volo in programma per la sera, si deciderà in seguito a seconda di come si evolverà la situazione.
MESSAGGIO TV - Saif al-Islam, il figlio di Muhammar Gheddafi, in un messaggio tv lanciato alla nazione nella notte aveva detto che «la Libia è a un bivio». Nel discorso ha fatto più volte l'accenno a non meglio precisate «forze straniere» e «separatisti» che hanno messo in atto un «complotto» contro la Libia». Il figlio del rais ha indicato i nemici: islamisti, organi d'informazione, teppisti, ubriachi, drogati e stranieri, compresi egiziani e tunisini. «Arriveranno le flotte americane e europee e ci occuperanno», ha avvisato. Ha minacciato quindi di «sradicare le sacche di sedizione», in quanto «il nostro non è l'esercito tunisino o egiziano. Combatteremo fino all'ultimo uomo, all'ultimo proiettile».
DIPLOMAZIA - Il dipartimento di Stato americano ha ribadito di essere molto preoccupato per la situazione in Libia. Per protestare contro la repressione e l'utilizzo di mercenari stranieri per sparare contro i rivoltosi, si sono dimessi gli ambasciatori libici in India, Cina e alla Lega Araba, ha reso noto il servizio in arabo della Bbc, così come il ministro della Giustizia. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha fatto appello a «non ricorrere all'uso della forza e a rispettare le libertà fondamentali». La Gran Bretagna ha richiamato il proprio ambasciatore a Tripoli e ha convocato quello libico per protestare contro la violenza della repressione. Il ministro degli Esteri della Finlandia ha evocato la possibilità che la Ue imponga sanzioni a Gheddafi. L'Italia invece insiste perché nelle conclusioni del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue si faccia esplicito riferimento all'«integrità territoriale» della Libia. Lo si apprende da fonti della Farnesina. La bozza circolata in mattinata si concentrava sulla condanna alle violenze; la posizione italiana è più articolata rispetto alla durezza di quelle tedesca e inglese, in considerazione, secondo quanto riferiscono le fonti, della particolarità della situazione libica.
FRATTINI: «UE NON INTERFERISCA» - Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è detto «molto preoccupato per le ipotesi che stanno emergendo in queste ore di un emirato islamico a Bengasi». Al suo arrivo alla riunione dei capi delle diplomazie dell'Ue, il titolare della Farnesina ha affermato: «Si stanno affermando ipotesi di emirati islamici a est e questo, a pochi chilometri dall'Italia, sarebbe un fattore di grande pericolosità. Sono molto preoccupato per una Libia divisa a metà tra Tripoli e la Cirenaica». Frattini ha affermato che l'Ue «non deve interferire» nei processi di transizione in corso nel mondo arabo cercando di «esportare» il proprio modello di democrazia.
ATTACCO A CANTIERE - Centinaia di persone armate nella notte hanno attaccato a Tripoli un cantiere gestito da società sudcoreane, scatenando un violento scontro in cui tre sudcoreani e 15 bengalesi sono rimasti feriti. Lo riferisce l'agenzia sudcoreana Yonhap, sulla base delle informazioni fornite dal ministero degli Esteri di Seul. Sono tre in tutto i cantieri sudcoreani attaccati in una settimana. Almeno 2.300 tunisini che lavoravano in Libia hanno già lasciato il Paese.

coccarde: chi le produrrà per prime? I cinesi o i napoletani?



Coccardisti d'Italia, unitevi! Sono rimasto sorpreso dal numero di commenti positivi a http://bit.ly/gqrc88, qui su Corriere.it e su Twitter (#coccarda). Vedo solo un problema: c'è l'entusiasmo, manca la materia prima. Dove sono le coccarde tricolori? Non esiste, in Italia, una tradizione in materia. Non ho condotto studi particolari, ma ho l'impressione che dal Risorgimento in poi ne abbiamo indossate poche, di coccarde. Be', è tempo di ricominciare. Al 17 marzo mancano ventiquattro giorni, e qualcuno penserà di sicuro alla produzione. Anche perché, diciamolo: è un'opportunità commerciale niente male. Saranno più veloci gli stilisti di Milano, i napoletani o i cinesi d'Italia? In attesa di risolvere questo dubbio - niente male - cominciamo a pensare dove metterle, le coccarde, e a chi donarle.

È bene preparare un elenco, e tenersi pronti. Io regalerò una piccola coccarda tricolore a:
A)Il mio leghista preferitoA Crema non c'è che l'imbarazzo della scelta. Forse opterò per l'ex sindaco Cesare, brava persona. Starà benissimo, e io prometto di non dirlo a Maroni.
B)A chi mi verrà ascoltare a Como il 9 marzo. La fascinosa Lombardia del nord è infatti terra leghistorum: ma sono italiani proprio come voi e come me. Mi sento infatti cremasco, lombardo, italiano ed europeo: e tra queste cose non vedo conflitto né contraddizione.
C)Al patriota involontario Luis Durnwalder, presidente della provincia autonoma (ma italiana) di Bolzano. La sua affermazione «il gruppo linguistico tedesco non ha nulla da festeggiare» ha creato quel tanto di animosità senza la quale, in Italia, non riusciamo a concentrarci. Insieme alla coccarda, manderò a Luis
D)Un bigliettino con scritto: «Festeggi con noi! Perché tanti italiani, me compreso, celebrano volentieri i molti successi dell'Alto Adige/Sud Tirolo - luogo splendido, gente cordiale e seria - e voi non volete festeggiare con la maggioranza dei vostri connazionali?. Non è carino, non sta bene (considerato anche il lussuoso trattamento fiscale). Si metta una coccardina tricolore sul bavero del Tracht, Presidente!».