lunedì 21 febbraio 2011

Tripoli brucia tra saccheggi e scontri Dimissioni del ministro della giustizia

MILANO - In Libia è caos totale. Il ministro della giustizia, Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, ha dato le dimissioni. E fonti libiche hanno fatto sapere ad Al Jazeera che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro Gheddafi per mettere fine ai disordini.
POLIZIA IN FUGA - Le stesse milizie sarebbero nel caos. Polizia e forze di sicurezza sono fuggite in massa da al-Zawiya, località della Libia occidentale situata qualche decina di chilometri a ovest di Tripoli, lungo l'arteria che conduce alla frontiera con la Tunisia: lo hanno riferito testimoni oculari arrivati nella città di confine tunisina di Ben Guerdane. Da allora, hanno raccontato, la città è completamente piombata nel caos: «Per due giorni ci sono stati scontri tra pro e anti Gheddafi e ieri la polizia ha lasciato la città. Da ieri tutti i negozi sono chiusi, una casa di Gheddafi è stata data alle fiamme, la gente ha anche rubato auto della polizia», è il racconto dei testimoni oculari. «Ci sono cecchini, ci sono case incendiate, non c'è polizia, se n'è andata ieri mattina. Nel centro della città ci sono manifestazioni pro Gheddafi».
Fiamme a Tripoli
ULEMA -In una Libia che brucia tra caos e sangue, il rais è abbandonato anche dai religiosi islamici: la Rete dei liberi ulema ha detto che la rivolta contro il regime è dovere divino di ciascuno. Violenti scontri sarebbero in atto tra i fedelissimi gheddafiani delle Guardie dei Comitati rivoluzionari e i militari golpisti. In questi scontri sarebbe rimasto gravemente ferito il comandante delle forze speciali, Abdalla El Senoussi, che secondo alcune voci sarebbe morto. Da Tripoli intanto giungono notizie di palazzi governativi e Parlamento in fiamme, saccheggi di banche e negozi anche da parte delle forze dell'ordine mentre l'esercito si sarebbe unito ai dimostranti. Si susseguono le voci non confermate sul destino di Muhammar Gheddafi: tra chi lo dà in fuga e chi nell'opposizione assicura che si trovi ancora in Libia. Secondo fonti ospedaliere citate dalla televisione, ci sarebbero già 61 morti nella capitale nelle prime ore di lunedì. Mentre secondo la Federazione internazionale per i diritti umani, Fidh, i morti dall'inizio delle contestazioni contro Gheddafi sarebbero tra i 300 e i 400 «per una cifra più vicina ai 400 che ai 300». Un'altra ong, Human Rights Watch,aveva calcolato in mattinata un bilancio di 233 morti.
DIMISSIONI - Il ministro della giustizia Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil si sarebbe dimesso proprio a causa del «ricorso eccessivo alla violenza contro i manifestanti antigovernativi», lo riporta il giornale privato Quryna che sul proprio sito, riferisce di una telefonata col ministro. Al momento non c'è conferma ufficiale alle dimissioni.
Incendiati i palazzi governativi
FIAMME - Testimoni riferiscono che sono stati incendiati sia il Parlamento che la sede del governo. Secondo il sito informativo libico al-Manara, bande armate stanno circolando per il quartiere di al-Azizia, dove si trova la sede della tv pubblica e diversi palazzi istituzionali, oltre alla residenza di Gheddafi. Gruppi armati hanno anche attaccato la caserma di al-Baraim, a una decina di chilometri dal centro di Tripoli. Secondo testimoni cecchini appostati sui tetti hanno aperto il fuoco contro i manifestanti che tentavano di avanzare verso il centro di Tripoli. Altri testimoni parlano di spari con arma da fuoco da auto in corsa. Secondo Al-Arabiya l'esercito avrebbe rifiutato di dispiegarsi nella città di Bani Walid. Tarhouna, in Tripolitania, sarebbe in mano ai manifestanti, così come Bengasi, Beida, Sirte (ma qui le fonti sono discordi), Zaouia e Gialo, nel deserto nei pressi dell'oasi di Cufra.
EVACUAZIONE - La situazione è grave, tanto che l'Ue sta considerando di evacuare i cittadini europei, in particolare da Bengasi, ma un aereo della Turkish Airlines inviato da Ankara per riportare in patria i cittadini turchi non è potuto atterrare nella città ed è dovuto tornare indietro. Portogallo e Austria hanno inviato aerei per evacuare i propri cittadini e altri dell'Ue. Gli italiani che vivono «stabilmente» in Libia sono 1.500 e la Farnesina e l'ambasciata «stanno consigliando di partire» con voli commerciali. Lo riferiscono a Bruxelles fonti della Farnesina, precisando che «al momento l'Italia non prevede un piano di evacuazione». Finmeccanica ha già iniziato l'evacuazione dei propri dipendenti (meno di dieci). Eni, Shell e Bp hanno iniziato il rimpatrio dei dipendenti non operativi e dei famigliari. «Eni non ravvisa alcun problema agli impianti e alle strutture operative», dice una nota del gruppo energetico. «Le attività proseguono nella norma senza conseguenze sulla produzione» pur se «si sta provvedendo a rafforzare ulteriormente le misure di sicurezza a tutela di persone e impianti». Alitalia ha annunciato che il volo della mattina per Tripoli è partito come previsto da Roma e ritornerà nel pomeriggio. Per quanto riguarda il volo in programma per la sera, si deciderà in seguito a seconda di come si evolverà la situazione.
MESSAGGIO TV - Saif al-Islam, il figlio di Muhammar Gheddafi, in un messaggio tv lanciato alla nazione nella notte aveva detto che «la Libia è a un bivio». Nel discorso ha fatto più volte l'accenno a non meglio precisate «forze straniere» e «separatisti» che hanno messo in atto un «complotto» contro la Libia». Il figlio del rais ha indicato i nemici: islamisti, organi d'informazione, teppisti, ubriachi, drogati e stranieri, compresi egiziani e tunisini. «Arriveranno le flotte americane e europee e ci occuperanno», ha avvisato. Ha minacciato quindi di «sradicare le sacche di sedizione», in quanto «il nostro non è l'esercito tunisino o egiziano. Combatteremo fino all'ultimo uomo, all'ultimo proiettile».
DIPLOMAZIA - Il dipartimento di Stato americano ha ribadito di essere molto preoccupato per la situazione in Libia. Per protestare contro la repressione e l'utilizzo di mercenari stranieri per sparare contro i rivoltosi, si sono dimessi gli ambasciatori libici in India, Cina e alla Lega Araba, ha reso noto il servizio in arabo della Bbc, così come il ministro della Giustizia. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha fatto appello a «non ricorrere all'uso della forza e a rispettare le libertà fondamentali». La Gran Bretagna ha richiamato il proprio ambasciatore a Tripoli e ha convocato quello libico per protestare contro la violenza della repressione. Il ministro degli Esteri della Finlandia ha evocato la possibilità che la Ue imponga sanzioni a Gheddafi. L'Italia invece insiste perché nelle conclusioni del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue si faccia esplicito riferimento all'«integrità territoriale» della Libia. Lo si apprende da fonti della Farnesina. La bozza circolata in mattinata si concentrava sulla condanna alle violenze; la posizione italiana è più articolata rispetto alla durezza di quelle tedesca e inglese, in considerazione, secondo quanto riferiscono le fonti, della particolarità della situazione libica.
FRATTINI: «UE NON INTERFERISCA» - Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è detto «molto preoccupato per le ipotesi che stanno emergendo in queste ore di un emirato islamico a Bengasi». Al suo arrivo alla riunione dei capi delle diplomazie dell'Ue, il titolare della Farnesina ha affermato: «Si stanno affermando ipotesi di emirati islamici a est e questo, a pochi chilometri dall'Italia, sarebbe un fattore di grande pericolosità. Sono molto preoccupato per una Libia divisa a metà tra Tripoli e la Cirenaica». Frattini ha affermato che l'Ue «non deve interferire» nei processi di transizione in corso nel mondo arabo cercando di «esportare» il proprio modello di democrazia.
ATTACCO A CANTIERE - Centinaia di persone armate nella notte hanno attaccato a Tripoli un cantiere gestito da società sudcoreane, scatenando un violento scontro in cui tre sudcoreani e 15 bengalesi sono rimasti feriti. Lo riferisce l'agenzia sudcoreana Yonhap, sulla base delle informazioni fornite dal ministero degli Esteri di Seul. Sono tre in tutto i cantieri sudcoreani attaccati in una settimana. Almeno 2.300 tunisini che lavoravano in Libia hanno già lasciato il Paese.

Nessun commento:

Posta un commento