domenica 27 febbraio 2011

Obama : «Gheddafi se ne vada subito»

MILANO - Si stringe il cerchio attorno al regime di Muammar Gheddafi. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha firmato una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni del rais e dei suoi familiari depositati negli Stati Uniti. L'ordine esecutivo entra in vigore immediatamente e colpisce, oltre al colonnello, quattro suoi congiunti: Ayesha, generale dell'esercito; Khamis; Mutassim, consigliere per la sicurezza nazionale e Saif al-Islam. Venerdì il leader libico ha invitato i suoi sostenitori a prendere le armi contro i manifestanti in un Paese messo a ferro e fuoco, dove le vittime sarebbero già molte migliaia: «Ci batteremo e vinceremo. Se occorresse, apriremmo tutti i depositi di armi per armare tutto la popolazione» ha detto nel suo primo intervento pubblico dall'inizio della rivolta. Saif al-Islam, figlio del rais, ha però aperto uno spiraglio al dialogo: ha proposto agli oppositori di sospendere gli attacchi e intavolare dei negoziati.
Il Presidente Usa, Barack Obama, si è detto convinto che Gheddafi, «se ne deve andare ora», perché ha perso la legittimità a governare. Lo ha fatto sapere con una nota la Casa Bianca. La presa di posizione è la più dura, mai presa finora, dall'amministrazione statunitense. Obama ne ha parlato in una conversazione telefonica con il Cancelliere tedesco, Angela Merkel. «Il Presidente ha fatto presente», si legge nella nota, «che quando l'unico strumento che un leader utilizza per rimanere al potere è l'utilizzo della violenza di massa contro il suo popolo, egli ha perso la legittimità a governare e deve fare quel che è giusto per la nazione facendosi da parte».

BAN KI-MOON: «RUOLO ATTIVO DELL'ITALIA» - Appoggio continuo e ruolo attivo dell'Italia per le azioni decisive da prendere per risolvere la crisi libica: lo ha chiesto il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Secondo quanto riferisce in una nota il servizio del portavoce del Palazzo di Vetro, «nella sua telefonata con il premier Berlusconi, il segretario generale ha discusso le opzioni disponibili per risolvere la crisi e ha chiesto il continuo appoggio dell'Italia ed un suo ruolo attivo per una azione decisiva». Ban ha anche parlato per telefono con re Abdullah dell'Arabia Saudita.
La risoluzione franco-britannica sulla sanzioni
RISOLUZIONE ONU - Venerdì anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha trovato un'intesa. Una bozza di risoluzione che circola fra i quindici Paesi membri valuta sanzioni tra cui un embargo sulle armi, sui viaggi del rais e sul blocco dei suoi asset. Il Consiglio deve prendere «misure decisive» in tal senso, ha spiegato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon: «La violenza deve cessare, chi versa con brutalità sangue di innocenti deve essere punito. Una perdita di tempo significa una perdita di vite umane». La bozza di risoluzione avverte inoltre Gheddafi che le violenze potrebbero essere considerate come crimini contro l'umanità. Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu chiede la sospensione della Libia dai suoi ranghi e un'indagine indipendente sulle violenze, mentre l'Unione europea potrebbe decretare un embargo sulle armi, il congelamento dei beni e il divieto dei visti nei confronti di Gheddafi e del suo entourage.
«DISERTATE O PROCESSO» - Ma il colonnello si è attivato per tempo nella speranza di salvare il suo immenso patrimonio. Secondo il Times sarebbe riuscito a nascondere 3 miliardi di sterline in un fondo di investimenti privati a Mayfair (quartiere chic di Londra), grazie a un intermediario basato in Svizzera che prima aveva avvicinato una nota casa di investimenti della City con l'obiettivo di depositare lì i fondi ma era stato bloccato. Il Tesoro britannico ha sguinzagliato i suoi segugi per identificare i capitali libici nascosti nel Paese: miliardi di sterline in conti bancari, oltre a una villa a Hampstead valutata 10 milioni. Dalla Gran Bretagna, e in particolare dal quotidianoGuardian, arriva anche un'altra notizia, secondo cui le autorità inglesi starebbero contattando figure di spicco del regime libico per persuaderle ad abbandonare Gheddafi ed evitare così il processo per crimini contro l'umanità. Sarebbero stati messi a punto piani di emergenza per sgomberare l'ambasciata del Regno Unito a Tripoli, ma il Foreign Office ha smentito una chiusura della sede nel fine settimana. L'ex ministro dell'Interno libico Abdel Fattah Yunis, in un'intervista concessa alla tv Al Arabiya, ha invitato l'esercito a unirsi subito alla rivolta del popolo, perché «ci dono le condizioni per vincere questa battaglia». E come hanno fatto altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha chiesto che Gheddafi lasci il potere: «Darà un segno di coraggio, il popolo è in grado di guidare il Paese».

Sim card e ipod di fianco a Yara Genitori a Milano per il riconoscimento

MILANO - Una domenica terribile a Brembate di Sopra, iniziata con la certezza che le ricerche di Yara sono terminate per sempre. Il dolore viene scandito ogni ora, quando le campane della chiesa principale suonano «perché Yara è un angelo e gli angeli bisogna festeggiarli» spiega don Corinno Scotti, il parroco del piccolo comune bergamasco che sabato ha fatto visita alla famiglia di Yara: «Il padre mi ha detto "non dirmi nulla e abbracciami"». «Nelle favole - ha commentato don Scotti - abbiamo sempre sentito che tutto finisce bene: gli orchi vengono sconfitti. Adesso, invece, sappiamo cos'è un orco e fino a che punto può arrivare l'uomo. Siamo preoccupati sapendo che c'è un orco tra di noi».
IL MISTERO DEL RITROVAMENTO - Ora restano gli interrogativi sulla morte della ragazzina e sul ritrovamento del cadavere in uno dei luoghi più controllati dal 26 novembre scorso, data della scomparsa. Il corpo, in un campo incolto a Chignolo d'Isola (Bergamo), era disteso sulla schiena con le braccia all'indietro. A riferirlo è un testimone oculare, uno dei primi arrivati sul posto, che ha potuto osservare la scena del crimine prima che tutti venissero allontanati per fare spazio agli uomini della Scientifica. Secondo quanto si è appreso, i resti non erano individuabili da lontano, e nonostante si trovassero senza alcuna copertura nemmeno parziale sopra le sterpaglie, già da pochi passi risultavano praticamente invisibili. La scena apparsa davanti agli occhi delle prime persone accorse sul posto è stata quella di un cadavere in avanzatissimo stato di decomposizione: disteso sulla schiena, con le braccia all'indietro oltre il capo come nel tentativo di liberarsi da qualcuno di dosso, o forse per via di un breve trascinamento. Le mani parzialmente coperte dalle maniche del giubbotto, lo stesso che indossava il giorno che è scomparsa, come peraltro gli altri abiti che indossava, la felpa, i pantaloni elasticizzati e i guanti. In tasca sono stati trovati alcuni oggetti come una sim card di un telefonino, presumibilmente il suo, le chiavi di casa e la batteria di un telefonino, che invece manca all'appello. Il corpo in alcuni tratti era quasi mummificato e in alcuni punti scarnificato forse per l'intervento di alcuni animali, e presentava dei taglietti, uno più esteso alla schiena all'altezza dei reni, altri più piccoli all'altezza del collo e del petto. Segni che però ancora non è chiaro se siano stati provocati da chi l'ha aggredita o se siano stati inflitti post mortem. Una parola certa su tutto ciò non si potrà avere, a livello investigativo, fino a quando gli accertamenti più approfonditi sugli oggetti trovati e le risultanze autoptiche, fissate per lunedì, non daranno il giusto valore a ciascuno di questi elementi. «Abbiamo trovato cose importantissime...» ha confermato il questore di Bergamo, Vincenzo Ricciardi. «Sono al lavoro ininterrottamente gli esperti scientifici dell'Ert (Esperti ricerche tracce) - ha aggiunto - cercano ogni traccia minuziosa, ma comunque ciò che è stato trovato è importantissimo. Qualcos'altro, invece, lo stiamo ancora cercando». Sarà l'autopsia di lunedì a fornire forse le prime risposte sulla morte della ragazza.
«Io ci sono stato a cercare là, non c'era assolutamente niente» ha detto domenica mattina, con parole smozzicate, un operaio che lavora nella ditta Rosa & C., una Spa che produce laminati industriali, proprietaria del terreno sterrato e al momento incolto, dove è stato ritrovato il corpo di Yara. Già sabato si era accennato al fatto che oltre alle ricerche effettuate dai volontari della Protezione Civile proprio in quel posto, anche i dipendenti della ditta avevano deciso, in una occasione, di effettuare una ricerca tutti insieme. «Sì, sì - conferma l'operaio - ci siamo stati a vedere in quel posto. E c'ero anch'io, ma là non c'era assolutamente niente». La Rosa & C. Spa è un'azienda molto grande con diversi capannoni, sia industriali che ad uso ufficio, che si estende per un fronte di oltre 100 metri e termina proprio alla fine della strada asfaltata oltre la quale comincia il campo incolto dove sono stati trovati i resti.
«NESSUNA AUTO IN FUGA» - Il questore ha anche smentito le indiscrezioni che parlavano di un testimone che sabato mattina avrebbe visto un'auto allontanarsi a gran velocità da dove, nel pomeriggio, è stato trovato il corpo di Yara. «Non c'è nessuna macchina. È una sciocchezza. C'è un solo testimone che è la persona che, mentre faceva volare uno dei suoi aereomodelli, ha trovato il corpo», spiega il questore.
GENITORI A MILANO - I genitori di Yara Gambirasio sono andati all'istituto di medicina legale di Milano dove è stato portato il cadavere della ragazzina trovato sabato. I due erano a bordo di una macchina delle forze dell'ordine scortata da altre due autovetture e sono entrati direttamente in auto nel cancello dell'istituto, per uscire poi uscire
AFFLUSSO DI CURIOSI CON BAMBINI - Prosegue intanto l'afflusso di cittadini della zona, e di curiosi, in via Bedeschi a Chignolo d'Isola (Bergamo), il luogo dove è stato trovato il corpo di Yara Gambirasio. Capannelli di cittadini. In diversi sono arrivati anche con i figli e davanti a loro discutono dei particolari del ritrovamento. «Sono venuto qui a vedere quello che è successo - dice un uomo sulla quarantina che tiene per mano due bambini - io sono di Terno d'Isola, ma non potevo non passare di qua». In molti esprimono, parlando con i giornalisti, la loro solidarietà accorata alla famiglia Gambirasio. Altri si limitano a curiosare e a scattare qualche foto con il cellulare.

Libia, arrivano le sanzioni dell'Onu Frattini: «Gheddafi se ne vada»

MILANO - Dopo quelle firmate dal presidente Obama, contro il regime di Muammar Gheddafi arrivano anche le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si è espresso domenica notte approvando all'unanimità la risoluzione 1970.
FRATTINI - Dura la presa di posizione del ministro degli Esteri Franco Frattini; secondo cui la situazione in Libia è a un «punto di non ritorno» ed è «inevitabile» che Gheddafi se ne vada: «Non avevamo mai visto situazioni in cui il capo di un regime dà ordine di uccidere i suoi stessi fratelli e le sue stesse sorelle, assoldando addirittura dei mercenari». La stessa richiesta di una cessione del potere da parte del Raìs è stata formulata da Stati Uniti e Gran Bretagna. Frattini ha spiegato che l'Italia non ha alcun vincolo che le impedirebbe di intraprendere azioni nei confronti della Libia derivante dall'accordo di amicizia tra Roma e Tripoli perché «la sospensione di fatto del trattato è già una realtà».
LA RISOLUZIONE - Il documento dell'Onu (volto a «deplorare la grave e sistematica violazione dei diritti umani, tra cui la repressione di manifestanti pacifici») prevede il blocco dei beni del Raìs e di alcuni suoi familiari e dignitari, l'embargo alle vendite di armi e un possibile coinvolgimento della Corte penale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra o contro l'umanità. L'ambasciatrice degli Stati Uniti all'Onu Susan Rice ha sottolineato che la risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale nel caso si mostrasse necessario. I membri del Consiglio hanno espresso preoccupazione per le morti di civili, «respingendo inequivocabilmente l'incitamento alle ostilità e alla violenza contro la popolazione condotto dagli alti gradi del governo libico».
I PUNTI - Per ottenere un'«azione decisiva», ovvero porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del Consiglio, in linea con l'Unione Europea, hanno stabilito sanzioni dirette contro Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di «congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui». Ci sono poi l'embargo sulle forniture di armi e il deferimento alla Corte dell'Aja. Secondo i quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell'eccidio in qualità di «comandante delle forze armate», vanno colpiti anche due suoi cugini: Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di «operazioni contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche», e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, «coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell'Europa». Presi di mira anche il capo delle forze armate Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell'intelligence.
«MESSAGGIO FORTE» - «Spero che il messaggio sia ascoltato e preso in considerazione dal regime in Libia» ha commentato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, congratulandosi per il voto unificato, un voto - ha detto - che «manda un messaggio forte che le gravi violazioni dei diritti umani di base non possono essere tollerate». Poco prima Ban aveva chiamato il presidente del Consiglio Berlusconi per discutere le opzioni disponibili per risolvere la crisi e chiedere «il continuo appoggio dell'Italia e un suo ruolo attivo per un'azione decisiva». La linea dura decisa dal Consiglio è appoggiata dalla missione libica alle Nazioni Unite, che in una lettera sostiene le misure contro i «responsabili degli attacchi armati contro i civili libici, anche attraverso la Corte penale internazionale». La lettera è stata firmata dall'ambasciatore Mohamed Shalgham, ex sostenitore di Gheddafi che ha avuto un drammatico ravvedimento dopo lo scoppio delle repressioni. Venerdì Shalgham aveva chiesto al Consiglio di muoversi velocemente per fermare il bagno di sangue. Si muove l'Europa: l'Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton ha detto che la repressione avrà «conseguenze» e ha chiesto di nuovo la fine «immediata» delle violenze e delle violazioni dei diritti umani. «Gheddafi e le autorità libiche sanno che le loro azioni inaccettabili e scandalose avranno conseguenze - spiega Ashton -. L'impunità contro i crimini commessi non sarà tollerata. Le sanzioni della Ue saranno formalmente adottate nel più breve tempo possibile». Anche la Russia prende posizione: in una telefonata al collega libico Musa Kusa, il ministro degli Esteri di Mosca Serghiei Lavrov ha condannato l'uso «inaccettabile» della forza contro i civili. E dopo quella di Washington c'è la dura presa di posizione di Londra: il ministro degli Esteri William Hague ha detto che Muammar Gheddafi se ne deve andare. La Gran Bretagna ha quindi revocato l'immunità al colonnello e ai suoi figli, «per far capire qual è la nostra posizione sul suo status di capo di Stato» ha spiegato Hague.