mercoledì 23 febbraio 2011

L'altro Made in Italy: dentro le aziende che producono i falsi modelli della moda


NAPOLI - C’è un made in Italy che sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione, associazione di categoria, import/export. Si tratta dei modelli più ricercati e rinomati della moda italiana (e non solo) venduti nei negozi nostrani ma di cui non si conosce la provenienza. E’ un mercato parallelo, quello del falso, che si sviluppa nelle cantine, nei sottoscala, nei retrobottega di anonime abitazioni dell’hinterland napoletano. Palazzine di due o tre piani che nascondono nei sotterranei un polmone produttivo totalmente clandestino.
E’ qui che si alimenta l’alta moda (falsa) a costi stracciati: quattordici euro per un completo da donna che verrà rivenduto cinquanta volte tanto; sette euro per una confezione da uomo che in boutique costerà dai settanta euro in su. Per capire meglio come funziona tutto il sistema ci siamo finti interessati a confezionare dei falsi modelli di alcune delle case di moda più conosciute, ovviamente tutto in nero.

Il nostro, è stato un vero e proprio viaggio nelle fabbriche del «made in Italy fantasma» dove in gran parte lavorano donne italiane per una paga che si aggira intorno ai 15 euro al giorno. Nessun sindacato, nessuno sciopero, nessun diritto. Nessuno osa lamentarsi perché qui, in terra di Gomorra, la macchina da cucire è una delle poche occasioni di lavoro per le donne. E va difesa a denti stretti. La concorrenza da battere è quella cinese e pachistana che produce alla metà del prezzo e ormai rappresenta una casta impenetrabile. Kabir, pachistano, venuto in Italia 13 anni fa come apprendista sarto, oggi è il padrone di una di queste fabbriche abusive e ci dice chiaramente: «Qui italiani a lavorare non ne voglio». Così, quando gli proponiamo di assumere un nostro parente che ha perso il lavoro da poco, ci mette alla porta e torna dentro ad alimentare il suo made in Italy. Rigorosamente falso.

Nessun commento:

Posta un commento