domenica 20 febbraio 2011

Il Viminale e i timori per la Libia «Rischio invasione di clandestini»

ROMA - Il rischio di un esodo che potrebbe ben presto trasformarsi in invasione è ben chiaro agli specialisti del Viminale. Perché quanto accaduto nei giorni scorsi con gli sbarchi dei tunisini diventerebbe un'inezia se le autorità libiche decidessero di sospendere i controlli nei porti e sulle spiagge dove continuano ad ammassarsi gli stranieri provenienti da tutta l'Africa subsahariana. Centinaia di migliaia di persone che non aspettano altro se non riuscire ad abbandonare quelle terre e attraversare il Mediterraneo per arrivare in Italia e poi nel resto d'Europa. Lo sa bene il ministro dell'Interno Roberto Maroni, in costante contatto con l'ambasciatore in Italia Abdulhafed Gaddur. Una preoccupazione che si somma a quella per la sorte degli italiani residenti in Libia. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto la verifica costante delle presenze per poter valutare - come ha già fatto la Turchia - anche l'ipotesi di predisporre il rimpatrio di chi vuole rientrare.

«Prospettiva
che inquieta»

Lo «sconsiglio» comparso sul sito web della Farnesina dedicato a chi viaggia evidenzia le «situazioni di specifica criticità segnalate in Cirenaica, regione al confine con l'Egitto» e invita a non effettuare «qualsiasi viaggio non essenziale nell'area». Ma ben più esplicito è l'ultimo report trasmesso al ministro dall'Unità di crisi perché, pur sottolineando come a Tripoli il clima sia al momento ancora «tranquillo», specifica la «problematica situazione della Cirenaica» ed evidenzia come sia «la prospettiva che inquieta». Per questo rende conto dei «contatti costanti con l'ambasciata per la valutazione dei diversi possibili scenari relativi alla comunità italiana, avendo già esaminato specifiche iniziative di tutela diretta per chi si trova nella zona di Bengasi».
Protezione mirata, dunque, non escludendo la possibilità di trasferire chi si trova nella zona degli scontri. Una nota ufficiale dell'Eni - che in Libia ha numerosi impianti e soprattutto moltissimi dipendenti - assicura che «al momento non si registra alcun tipo di problematica e la produzione continua, ma monitoriamo costantemente la situazione e seguiamo con attenzione gli sviluppi». La maggior parte dei lavoratori vive in una zona residenziale di Tripoli protetta da servizi costanti di vigilanza e dove finora non c'è stato alcun problema. Gli altri - assicura la società - sono comunque al sicuro. Ma le disposizioni date da Roma e condivise dall'ambasciatore Vincenzo Schioppa prevedono la possibilità di ottenere il rimpatrio immediato qualora la situazione dovesse degenerare anche nella capitale.

Il rispetto
del Trattato

Proprio a Bengasi fu firmato il «Trattato di amicizia» tra Italia e Libia che - in cambio di numerose concessioni economiche e politiche al regime del Colonnello - impegna i libici a monitorare le coste per impedire le partenze dalla zona nord del Paese, lì da dove sono sempre salpati gli scafisti con mezzi carichi di immigrati. Due giorni fa il ministro Roberto Maroni ha incontrato l'ambasciatore Gaddur e gli ha rinnovato la preoccupazione per quanto può accadere qualora la sorveglianza venga allentata. Un'eventualità che il diplomatico, ritenuto uno dei fedelissimi di Gheddafi ha escluso, assicurando come le autorità «continuano ad avere il controllo della situazione». In realtà i vertici degli apparati di intelligence e dunque anche i responsabili del settore immigrazione temono l'effetto domino che, come già accaduto in Tunisia e in Egitto, potrebbe portare a un ampliamento della rivolta e dunque a un'assenza di controlli. La conseguenza è ben chiara. Basti pensare che, secondo i dati ufficiali forniti dallo stesso Maroni nell'ottobre scorso, «dopo gli accordi con la Libia gli sbarchi sull'isola di Lampedusa sono diminuiti del 98 per cento. Sono infatti passati dai 37.000 del 2009 a 404 del 2010». Un trend positivo che con l'arrivo della bella stagione e con l'eventuale via libera da Zwara e dalle altre località costiere alle partenze potrebbe subire presto un'inversione. Non a caso dal Dipartimento dell'Immigrazione è partita la richiesta per un monitoraggio costante dell'area dove in questi mesi gli extracomunitari sono comunque arrivati. Hanno attraversato il deserto e sono rimasti nell'attesa di trovare comunque un modo per aggirare i controlli e provare a partire, semmai seguendo una rotta alternativa a quella che porta in Sicilia. E dunque puntando verso la Calabria, la Sardegna o addirittura verso Grecia e Turchia per poi muoversi con altri mezzi verso l'Italia e il nord Europa. 

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